Accertamento sulla residenza fiscale delle persone fisiche – strategia difensiva (preventiva e contenziosa)
Il concetto di residenza fiscale delle persone fisiche è stato oggetto di riforma con il D. Lgs. 209/2023, in attuazione della legge delega fiscale.
L’art. 2 del TUIR prevede ora che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell'applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresi' residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”
Si tratta del punto di approdo di una lunga serie di espressioni dell’Agenzia delle Entrate e precedenti giurisprudenziali.
L’Amministrazione finanziaria, da ultima, si è pronunciata con circolare n. 20/E/2024.
Ciò che risulta ormai pacifico dalla lettura di tale documento è che:
- la normativa convenzionale OCSE prevale su quella interna;
- la residenza fiscale è frutto di un’analisi caso per caso della situazione fattuale del Contribuente.
Emerge infatti chiaramente dal documento che la residenza di una persona fisica viene valutata, oltre che badando alle evidenze oggettive, anche ad una importante componente di elemento soggettivo, volta a “considerare anche le condotte con le quali una persona manifesti con atti concreti la volontà di mantenere un legame effettivo con (e duraturo) il territorio italiano”.
Permangono tuttavia diversi contenziosi sulla residenza fiscale, derivanti talvolta dallo scambio di informazioni tra stati (soprattutto quando sono coinvolte più giurisdizioni), con particolare riferimento alla contestazione della residenza in paesi c.d. black list (Svizzera fino al 2023, Monaco, ecc…).
Le difficoltà già evidenziate nel rapporto Fisco – Contribuente, si sommano al fatto che il trasferimento della residenza fiscale, come già rilevato da dottrina autorevole, non rappresenta un atto istantaneo, bensì un procedimento che per consolidarsi definitivamente richiede anche diversi anni.
Basti pensare a soggetti che si trasferiscono all’estero dovendo tuttavia gestire:
- ex coniuge e figli in Italia;
- detenzione di partecipazioni societarie ed altre attività da dismettere sul territorio italiano;
- rapporti bancari, assicurativi e di altro tipo.
In tali casi l’Ufficio sfrutta pro domo sua anche il più insignificante (all’apparenza) dei rapporti residuali rimasti sul territorio italiano per attrarre la residenza.
In aggiunta, molto spesso le contestazioni si muovono su diverse annualità fiscali. Nei casi di paesi black list il raddoppio dei termini consente di retroagire a periodi molto risalenti nel tempo (rendendo talvolta difficoltosa la ricerca di documenti).
Come ha dimostrato da ultima la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio, che ha visto soccombere un procuratore sportivo residente da 20 anni nel principato di Monaco, la difesa del Contribuente in queste situazioni non può che poggiarsi su una solida base di documentazione probatoria attestante la prevalenza di legami economici ed interessi in genere all’estero.
Il Contribuente deve essere in grado di dimostrare che, dal punto di vista soggettivo, abbia posto in essere una serie di condotte atte a manifestare la volontà di stabilirsi al di fuori del territorio italiano.
Le evidenze dovrebbero dimostrare da un lato l’allontanamento dal territorio italiano (iscrizione all'AIRE, cessione di attività, diminuzione delle stesse in termini di valore assoluto, assenza di comportamenti attivi) e il progressivo spostamento verso l’estero (contratto di lavoro, acquisto / locazione di immobili, trasferimento di parte della famiglia, ottenimento di documenti di identità / circolazione del nuovo paese di residenza…).
Si tratta del noto “defensive file” che si raccomanda di costruire al Contribuente non appena si trasferisce all’estero.
Gli elementi da produrre sono quelli riconosciuti sia dalla giurisprudenza sia dalla prassi dell’agenzia delle entrate.
Dovendo portare all’attenzione del Giudice tributario le evidenze della residenza estera attraverso fatti concreti ed oggettivi, altro strumento a disposizione del Contribuente nel giudizio tributario, può essere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata da terzi.
Si tratta di un mezzo di prova che il Difensore può allegare al ricorso senza la necessità di avviare il più complesso (e a volte esuberante) procedimento necessario per l’utilizzo della prova testimoniale, introdotta nel giudizio tributario con la riforma del 2022. La Corte di Cassazione ha già chiarito infatti la libera utilizzabilità delle dichiarazioni di terzi, che differiscono dalle testimonianze scritte (Cass. 33851 del 2011, Cass. 18418 del 2022).
Fulvio Balestra
Condividi su